Valentin Zoltan Nagy Art Exhibition

About the project.

Tipo: Exhibition, Coordination, Graphic Design, Communication

Cliente: Valentin Zoltan Nagy

Localizzazione: Castello Inferiore – Marostica (VI) – Italy

Status: Completed

Anno: 2018

Partner responsabile: Ricardo Lunardon

Team: Valentin Zoltan Nagy, Melinda Nagy

Mostra d’arte: Viaggiatori e artisti raccontano Marostica nel XXI secolo. Valentin Zoltan Nagy: acquarelli, grafica, fotografie

Castello Inferiore di Marostica, 27 settembre - 7 ottobre 2018

 

Discorso dell’arch. Ricardo Lunardon in occasione del Vernissage della mostra del 22 settembre 2020

 

Grazie infinite Antonio per la sempre preziosa presenza e puntuale storia descrittiva che ci permette di spaziare attraverso più di 500 anni di storia. Solo in Italia e in pochi altri Paesi del mondo si riescono a realizzare questi viaggi unici attraverso i secoli e le opere d’arte. Siamo proprio fortunati a vivere in un Paese come questo: siatene tutti orgogliosi!

Ed è proprio dall’acquaforte di Pietro Chevalier che potrei quindi continuare ad introdurre lo sguardo di Zoltan su Marostica.

Nell'interpretazione più plausibile, in origine la tecnica dell’acquaforte veniva usata nel Medioevo per incidere fregi e decorazioni su armi e armature. La tecnica serviva per poter avere infinite riproduzioni della stessa immagine.

Oggi invece Zoltan adotta la tecnica del disegno con penna a china, con l’inchiostro di china detto anche inchiostro cinese. Con la piccola punta calibrata in acciaio Zoltan decide la prospettiva migliore per ritrarre il suo soggetto, apre la seggiola portatile, apre la sua cassetta degli attrezzi, e con calma inizia ad osservare e disegnare di getto, a volte con lo schizzo a matita, a volte direttamente con china. È una operazione istintiva, allenata nel corso degli anni da segni precisi e sicuri, in cui il segno nero sul foglio bianco corrisponde esattamente al segno emozionale di Zoltan: quello che vale la pena far vedere, per aggiunta o sottrazione, e che viene registrato sul foglio.

Con le tecniche digitali moderne, l’inchiostrazione che avveniva tramite acquaforte oggi è gestita da scanner digitali ad alte prestazioni che riescono a registrare dettagli grandi pochissimi micron. Così facendo riusciamo a stampare lo stesso piccolo disegno in un disegno di metri di larghezza, senza perdere alcun dettaglio del segno della penna a china e del colore presenti sul foglio.

Dalla base a inchiostro o di matita dei disegni nascono invece i suoi acquerelli. Anche qui possiamo ritrovare i soggetti più disparati: dalle visioni di oggetti della natura, a visioni paesaggistiche dove i landmark del paesaggio sono segnalati da colori più vividi, a rappresentazioni di dettaglio delle costruzioni architettoniche degli edifici della città.

La tecnica dell’acquerello posta sopra ai segni marcatori di inchiostro e matita, non è solo questione di luci e ombre, ma permette di dare ulteriore tridimensionalità alle visioni, affidando allo sguardo la riproposizione dei colori degli oggetti in una particolare giornata dell’anno, in una particolare ora del giorno. Con questa tecnica Zoltan a volte gioca con la “scomposizione architettonica” degli oggetti, ovvero mette in risalto con il colore gli oggetti che vuole enfatizzare, e lascia a “fil di ferro” altri oggetti che si presentano quindi come assieme di linee, bordi e tratti d’ombra, rafforzando una visione molto tecnica della veduta architettonica d’insieme. Sono tecniche più moderne di rappresentazione dei luoghi, in cui lo sfondo bianco è invece il colore fondamentale della composizione, è il colore che riempie di significato i “vuoti” messi in scena dal colore.

Qui si apre quindi una riflessione ulteriore, causata dal pieno del bianco ed il vuoto del colore. Ma dobbiamo andare ancora più lontano con i luoghi per trovare le origini di questo.

Zoltan, lo ricordiamo, è architetto: e quante ore passate davanti al tecnigrafo a disegnare a matita segni precisi ed essenziali per far capire progetti e visioni; quante ore passate a disegnare a china, e se il segno non andava bene, via di lametta per cancellare e ripassare il segno in modo ancora più preciso e delicato. Il bianco è il pieno, il colore è il vuoto, la china, il tecnigrafo, le ore di addestramento, il segno preciso dei bordi e dei confini degli oggetti ci riportano nell’antica arte del disegno orientale giapponese, di derivazione cinese.

Per fare un breve inciso storico, il Giappone rimane chiuso agli stranieri fino al 1853, quando una squadra navale americana irrompe con la forza nella baia di Uraga, costringendo da quel momento il Giappone ad avere interscambi commerciali con gli stranieri di tutto il mondo. Nel 1867 il Giappone partecipa all’esposizione universale di Parigi, dove viene ricostruita un’intera fattoria giapponese e fra gli oggetti esposti nel padiglione vi sono anche 100 stampe. Fu un enorme successo, e da lì inizierà quello che gli storici dell’arte chiamano Giapponismo, e tutto ciò che viene dal Giappone diventa di moda.

Perfino Van Gogh si è innamorato delle stampe giapponesi, alle quali spesso si ispirava. Egli è arrivato a dire che: “Tutto il mio lavoro si basa sulla giapponeseria”.

Nel 1887, cento anni prima che io nascessi, Van Gogh dipinse “Japonesairie: Ponte sotto la Pioggia”, una riproduzione e rivisitazione del famoso quadro di Utagawa Hiroshige “Improvviso Acquazzone sul Grande Ponte vicino Atake” del 1857.

C’è sempre stata una stretta connessione tra la pittura e la calligrafia in Cina e Giappone. Le antiche parole cinesi iniziarono ad essere scritte come pittogrammi, arte grafica, e tra le due tecniche sono rimasti legami inestricabili. Entrambe le forme sono create con gli stessi pennelli e spesso coesistono in un’unica opera.

La tecnica delle stampe giapponesi si chiama xilografia (grafia su legno), ed è un’arte incisoria artistica unica nel panorama mondiale. È comunemente conosciuta con il nome di “ukiyo-e”, che significa "mondo fluttuante", in riferimento alla cultura giovane e impetuosa che fiorì nelle città di Edo (oggi Tokyo), ?saka e Ky?to, e che rappresentavano una realtà a parte, inedita, e divenuta popolare circa nel 1670 con le opere di Hishikawa Moronobu. La parola è anche un'allusione scherzosa al termine omofono (cioè dal suono simile) che significa "mondo della sofferenza".

In realtà potremmo leggere questo “paesaggio della sofferenza” in Zoltan invece come “paesaggio dell’anima”, riprendendo il testo della sua presentazione in cui ammette che “La magia architettonica di Marostica, il modo di vivere della gente e le preziose amicizie hanno creato il fondamento per tanti soggiorni”. L’emozione genera sempre una sorta di sofferenza interiore, che Zoltan la trasforma in altro. Quindi sono proprio questi “tratti fluttuanti” descritti da Zoltan, alle volte “pieni di bianco”, alle volte “svuotati col colore”, in cui l’artista mette in scena e in campo le sue sensazioni e visioni della nostra città medievale.

Al pari quindi di Francesco e Andrea Scoto, di Goethe, di Horatio Brown e Giacomo Boni, di Marin Sanudo, di Chevalier, Zoltan mette in scena una rappresentazione dell’intimo, a volte di getto, a volte vista e rivista ancora nel profondo dei dettagli.

La visione del gesto istintivo ha in Zoltan ulteriori visioni con l’arte fotografica e la pittura con getto di inchiostro colorato. Sono attimi, flash, dove si riconoscono di nuovo i dettagli del giapponesismo delle visioni sul castello di Marostica, ripreso dal retro delle colline, con il pino marittimo in primo piano che è come un’incisione nera calligrafica data dall’ombra. O ancora i dettagli di facciata dei palazzi del centro storico, in cui sempre la proiezione delle ombre sulle superfici determina tratti fotografici precisi e iconici.

L’emblema del “ukiyo-e” di Zoltan, del suo “mondo fluttuante”, è la terza opera di apertura della mostra, l’opera “Nostalgia rurale a Kárásztelek - Transilvania”, inchiostro a colori con tecnica mista a china, acquerello e inchiostro a getto, in cui i ricordi della città natale dei suoi genitori in Transilvania, con la vista molto architettonica, geometrica e sapientemente infantile, con il cielo blu e i colori esplosi come in un sogno, stanno a ricordare la vita dei suoi genitori prima e dopo la guerra, in questo piccolo paesino dove la vita era dura e di molto sacrificio, e da dove in seguito sono dovuti scappare.

Hokusai, uno dei più famosi pittori e incisori giapponesi, conosciuto principalmente per le sue opere in stile ukiyo-e, scriveva nei primi decenni del 1800 nel suo libro “Il vecchio pazzo per la pittura”:

“Dall'età di sei anni ho la mania di copiare la forma delle cose, e dal mezzo centinaio in poi ho pubblicato molti disegni, però tra quello che ho raffigurato in questi settant'anni non c'è nulla degno di considerazione. A settantatre [anni] ho un po' intuito l'essenza della struttura di animali e uccelli, insetti e pesci, della vita di erbe e piante e perciò a ottantasei progredirò oltre; a novanta ne avrò approfondito ancor più il senso recondito e a cento anni avrò forse veramente raggiunto la dimensione del divino e del meraviglioso. Quando ne avrò centodieci, anche solo un punto o una linea saranno dotati di vita propria. Se potessi esprimere un desiderio prego quelli tra Lor Signori che godranno di lunga vita di verificare se quanto affermo non sarà veritiero”.

Ancora Edgar Degas, pittore francese vissuto tra il 1834-1917, scriveva che “Hokusai non è solo un artista fra altri nel mondo fluttuante, è un'isola, un continente, da solo un mondo”.

Come Hokusai, Valentin Zoltan Nagy è un mondo unico, fluttuante, emozionale, istintivo, riflessivo, paziente e tenace. È unico, come la sua storia, come i suoi viaggi. È unico come Marostica, la città che con il tempo e i ritorni, grazie anche alle persone e gli amici che ha conosciuto, è una delle città che più ama, e più ama raccontare attraverso la sua arte.

Un detto antico dice „Non sai dove andrai se non sai da dove vieni“, per cui grazie infinite Antonio per tutto il lavoro e lo studio sulla storia di Marostica, per la grande disponibilità e presenza fondamentale.

Grazie Zoltan e Melinda per la vostra costante presenza dentro e fuori queste antiche mura, che hanno sempre più bisogno di persone come voi che aiutano noi marosticensi, che viviamo qui da sempre, a comprendere sempre più nel profondo e ad amare le meraviglie della nostra città.

 

Ricardo Lunardon

22 settembre 2018

 

 

Per informazioni sull’artista e le sue opere:

https://nagy-art.jimdofree.com/italiano/